Hai due possibilità: o arrivi dalla tangenziale e scegli la primo cartellone dove vedi la svolta che indica poco chiaramente Venezia provenendo da Est o il primo provenendo da Ovest. Arrivi da Est stressato da millimetrici spostamenti dovuti dalla coda onnipresente, giri a destra ti prendono le vertigini e ti lasci portare fidandoti dei segnali. Arrivi all’ultimo, speri, bivio di S. Giuliano. Un momento…un gruppetto di signori in divisa messi in una posizione strategica ti si parano davanti noncuranti del traffico. Chi avanza spedito è salvo e ti cagano, chi tentenna è spacciato. Ti inquadrano con gli occhi (sembra impossibile quella loro sensibilità), uno sguardo alla targa, cominciano ad agitarsi con classe dimostrandoti che per loro quello di aiutare la gente sia la loro missione primaria, hanno l’occhio stanco di persone abituate a deviare le auto in difficoltà, sono sicuri e disponibilissimi. Se hai lo sguardo impaurito ti domano come ha fatto il domatore di elefanti a Dumbo. Con ampi gesti delle mani e uno sguardo di chi è abituato a farlo da sempre ti indirizzano dritti dritti al parcheggio lì vicino. Del resto è il cartello più grande con un P. In più Venezia è scritta “Venice” come per far capire che Venezia scritto in italiano sia riservata a quelli del posto. Del resto quello che non ha potuto fare l’amministrazione comunale l’ ha fatta il privato. Si è sempre detto di deconcentrare gli arrivi: troppi al Tronchetto e p. Roma. Tutti a S. Giuliano e a Fusina!
Se riesci in qualche modo ad evitare i due compari e giri a destra per il cavalcavia, cominci a girare fino a quando, con lo sguardo impazzito agli specchietti retrovisori e uno rivolto ai cartelli indicanti tante, troppe direzioni, ti trovi davanti finalmente il cartellone Welcome a Venezia (e non Venice). Inizia il ponte della libertà (per chi esce da o per chi entra a?) con il monito di non superare i 90 km/h. I veneziani lo sanno che non devono superarlo sul serio per colpa degli autovelox permanenti posti due per direzione di marcia. Non si sa per quale motivo ma tutti rispettano l’andatura anche quando si è fuori tiro dalle macchine fotografiche. Come non si sa neanche per quale motivo quando, nel lasciare Venezia una volta finito il ponte, tutti accelerano anche se il limite si abbassa ai 70 km/h. Alla fine del ponte, una volta capito che direzione prendere, si assiste ad una specie di warm up da Formula uno: parcheggio del Tronchetto a destra…piazzale Roma a sinistra…corsia riservata ai bus e taxi al centro…tutti a guardarsi e a sterzare come schegge impazzite. Gli unici indispettiti sono quelli del posto che sanno dove andare e che si ritrovano i foresti che decelerano di colpo a giusta ragione per raccapezzarsi. Ora si deve decidere se andare a parcheggiare l’auto a piazzale Roma o al Tronchetto.
Scelta piazzale Roma: dritti. Il primo parcheggio è il garage comunale, la seconda, un po’ più scomoda è il garage S. Marco. Siamo a piazzale Roma: il capolinea. Infatti una volta arrivati non ci si capisce più niente (neanche i veneziani) perché posti per passare con l’auto ce ne sono anche troppi ma tutti riservati a: bus di linea, bus di linea interurbani, taxi, pullman privati, furbi, auto delle forze dell’ordine, mezzi dei servizi pubblici…quale scegliere visto che molti si sbagliano ed entrano in una di quelle corsie che poi ti accorgi di aver sbagliato che tutti ti guardano come fossi un extraterrestre?
Seconda scelta: il Tronchetto. Giri a destra dopo aver finito il ponte della libertà, scendi piano piano e ti devi decidere subito dove andare…prendere il ponte subito sulla tua destra, si. E’ l’unico che ti porta nell’isola nuova del Tronchetto. Isola nuova perché fatta apposta per parcheggiare l’auto e decongestionare piazzale Roma. Il garage ha pochi anni e fa parte di un progetto che vede alla costruzione molte altre strutture. La domanda nasce spontanea soprattutto per i veneziani che sono abituati a passare di là da anni: a cosa serviranno tutte quelle fondamenta di edifici mai finiti? Sembra di essere a Sharm el Sheikh dove stanno costruendo di tutto lasciando tutto a metà creando così un clima da mondo post atomico. Da anni al Tronchetto si parla di costruire qualcosa ma nessuno sa cosa. L’unica cosa sicura è il posticcio teatro della Fenice (l’ironia della sorte). Lì infatti hanno montato un tendone poco adatto a sentire musica (pensa quella sinfonica…) per poter far lavorare e dar da mangiare ai musicisti lasciati a casa dopo l’incendio al teatro. Un’altra cosa sicura che non poteva non esistere e che nessuno poteva averne il bisogno sono le bancarelle di souvenir. Un centro fatto di baracche nate fatiscenti costruite apposta per essere demolite subito dopo la costruzione di un centro più adatto alla porta della città facente parte del progetto globale del Tronchetto. Lì ci dovevano lavorare gli ambulanti delle bancarelle di piazzale Roma per levare, a detta dei politici del tempo, l’obbrobrio di quella baraccopoli tutta muschio e ruggine. Ne sono nate nuove licenze: quelle appunto delle bancarelle del Tronchetto. Altri ambulanti bisognosi di lavoro hanno fiutato l’affare di avere una licenza nel nuovo centro al Tronchetto che hanno fatto di tutto per ottenerla come legarsi con le catene, minacciare di buttarsi dalle gru. E le bancarelle di piazzale Roma? Ancora lì tutte muschio e ruggine. Per gli ambulanti del Tronchetto è cambiato qualcosa? Come i terremotati del Belice hanno ancora le loro baracche momentanee e sono perennemente incazzati come iene. La politica del non fare ha quietato anche gli animi più ribelli.
Hai pensato bene e hai scelto di parcheggiare l’auto al Tronchetto dove i cartelli ti indicano la P. Ti avvicini titubante alla sbarra gialla, prelevi il cartellino che fuoriesce dal distributore e cominci l’ascesa al parcheggio. Due o tre giri vorticosi con un preoccupante stridio di gomme dovute al cemento reso lucido dal passaggio di milioni di turisti e arrivi al primo piano parcheggiabile. Potresti anche salire di un piano o due (sono in totale 5 piani più uno sotterraneo riservato agli abbonati) ma il 99% va sparato per il primo che trova. Di questo lo sanno anche i parcheggiatori…parcheggiatori? Non hanno una divisa ma quasi, hanno però il modo abile e deciso di uno che è abituato a dirigere il traffico. Chi sono costoro? Ho notato che hanno delle preferenze: chi è straniero come il tedesco classico con la Mercedes lo fanno proseguire più avanti e chi è polacco o italiano un po’ più vicino. Io nella parte anteriore della mia auto tedesca ho messo apposta, vicino alla targa, un adesivo della bandiera tedesca e ogni volta quelle 4 o 5 persone che gestiscono gli arrivi mi mandano avanti ed ho fatto alcuni esperimenti:
a) me ne sto zitto zitto con la faccia triste: loro restano seri seri e mi invitano di parcheggiare.
b) faccio un colpetto agli abbaglianti e tengo lo sguardo avanti: non muovono un ciglio e mi schivano come non esistessi.
c) li frego e faccio la faccia triste e preoccupata ma all’ultimo momento mimo con la bocca (in modo esagerato) un “mavaincùeodatomare” e loro vanno via di testa e me lo rimandano indietro.
Non ho mai avuto il coraggio di lasciarmi parcheggiare da loro.
Comunque vada, una volta parcheggiato l’auto, vuoi arrivare al più presto a Venezia. Qualcuno ti si avvicina e con fare molto servile ti indica il mezzo più facile per arrivare a S. Marco. O lo segui o dici no grazie. Comunque sia ti senti sempre un manzo che viene caricato da una stalla all’altra. Il garage del Tronchetto ha mille altoparlanti che diffondono musica, alla domenica anche le partite di calcio, intervallata da messaggi in quattro lingue che ti dicono qual’é la cosa più importante da fare dentro il garage dopo quella di pagare e ritirare il biglietto d’uscita una volta deciso di tornartene a casa: non accettare il consiglio che qualsiasi persona che ti si avvicina e ti propone di utilizzare un mezzo diverso da quello pubblico per arrivare al centro storico. Vai per i fatti tuoi, non accetti consigli e vai all’uscita seguendo le indicazioni. Entri in quel orribile capannone basso e largo pieno di gente mezza in divisa e mezza vestita normalmente, alcuni senza denti, tutti abbronzati 365 giorni l’anno che si parlano sempre mezze frasi sostituite molte volte da delle bestemmie. Sono tutti che non stanno fermi, irrequieti, sempre con le orbite in vorticoso movimento ma quasi sempre sorridenti. Li sorpassi ed esci in una piazzetta attorniata da negozi di souvenir (i primi dei tanti che troverete a Venezia) stracarichi di merce tutta uguale disposta strategicamente tutta allo stesso modo. I dipendenti hanno tutti lo stesso viso nervoso di chi è abituato a servire clienti titubanti, frastornati e poco propensi all’acquisto. Davanti a te il tendone da circo del posticcio teatro La Fenice. Se ti va bene, tra le macerie di costruzioni mai terminate, trovi da fare il biglietto alla baracchetta dell’Actv e spendi per la tua famiglia un prezzo che probabilmente si avvicina ad un taxi abusivo. Mandrie di turisti anonimi e silenziosi si incrociano.
Cerchi di prendere il vaporetto ma niente ti dice quale sia quello giusto, infatti hanno strappato le insegne Actv che indicavano inequivocabilmente S. Marco. Ma con un po’, pochissima, buona volontà ti guardi gli orari e sali sul primo vaporetto che trovi, tanto tutti vanno al centro. Facciamo un passo avanti, la tua gita è finita e vuoi andartene da Venezia. Prima devi passare alla cassa automatica, ti paghi i 18€ al dì, ritiri l’auto non senza farti un po’ di confusione (dove l’avrò lasciata?) e cominci a farti vorticosamente i piani in discesa per uscire dal garage. L’ultimo intoppo: i turisti che arrivano davanti alle torrette dove dovrebbero inserire il biglietto già pagato ma che, è universalmente noto, devono ancora pagare, quindi devi aspettarli che decidano a scendere dall’auto, che con molta calma e con passo tipo pantera rosa si mettono a frugnare nella biglietteria tatticamente messa lì vicino per gli imbecilli e che riescano finalmente a uscire come si doveva fare prima. Tu sei più intelligente di loro e, una volta uscito al sole, vai sparato dritto sul ponte d’uscita dell’isola ma un’altro intoppo ti si para davanti. Lì tutti si fermano a pensare, a meditare, a filosofare su quale strada prendere: Venezia, porto, tutte le direzioni…tutte le direzioni, si. Sottopassaggio e via sul ponte della libertà. E lì ti accorgi di una cosa che prima quando sei arrivato non ti sei minimamente accorto: i lampioni gialli azzurri. A parte gli autovelox, i lampioni giallo azzurri sono il segno indelebile della scelta artistica di una delle tante amministrazioni comunali passate dopo l’ultimo doge. Anche se il sole e le intemperie creano una patina uniforme a tutto quello che ci circonda, il colore giallo azzurro dei lampioni resta visibile e non viene cancellato neanche quando, di sera, i lampioni vengono illuminati da quelle luci gialle arancione comune a molti lampioni (quelle che ti fanno sembrare grigio topo la tua auto celestina, per capirci). La loro forma assomiglia ad un fiore di Gardaland e i colori quel senso di servitù dagli Stati Uniti. Finisci il ponte della libertà (il ponte che unisce il mondo a Venezia come diceva il compianto poeta) e ti ritrovi a decidere quale strada prendere per ritornartene a casa. O diritto dove ad un certo punto troverai il passaggio pedonale che ha causato non so quante morti (non si sa perché le persone devono attraversare la strada proprio nel momento che l’auto passa di la a forte velocità) e che è evidenziato da un segnale dei 50, da strisce che lo avvertono, da un segnale di passaggio umani, da strisce zebrate, da un lampione giallo, da un lampeggiante intermittente arancione, e da una scritta che intima di fare molta attenzione, o scegli di salire sul cavalcavia o di entrare in zona porto per trovarti le puttane a guardarti col sorriso.
Bicicletta mon amour. Il problema è che quando arrivi con la bicicletta non puoi girare per la città. Ma dove la parcheggi?
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